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Rata Nece Biti

Regia

Daniele Gaglianone

Anno

2008

David di Donatello 2009 - Miglior Documentario


In quei luoghi, il tempo della guerra pesa ancora in modo determinante sul presente, sulla questione politica, sulle psicologie individuali e sulle relazioni umane. È un passato tragico che incombe su un presente dove l’oggi non c’è ancora. La sensazione di attraversare un tempo sospeso mi ha guidato nel realizzare il documentario e in qualche modo ha dato forma alla sua struttura, alla sequenza dei capitoli in cui personaggi e racconto si prendono il proprio tempo, cercando forse di rompere quel limbo che li imprigiona. Daniele Gaglianone

Notte di capodanno 2008. Fuochi d'artificio su Sarajevo. Zoran, 28 anni, cammina per le strade della sua città, ripercorre un'infanzia di guerra, la “strage della fila del pane”, il disegno yugoslavo trasformatosi in “prigione dei popoli”, lui sarajevese e serbo “leale”, con un padre che ha combattuto nelle fila dell'esercito bosniaco contro gli assedianti.
Gli strascichi ideologici della guerra portano alla periferia, al quartiere di Lukavica nella Sarajevo “serba”, ad un bar che si chiama Sing Sing e poi a casa di Saša, giovane professore di storia arroccato insieme ai “suoi” a presidio dell'ideale nazionalista.
Dall'altra parte c'è Aziz, ex soldato dell'Armija bosniaca impiegato nella difesa di Srebrenica e fortunosamente scampato al massacro. Ora vive a Ilidža, sobborgo della capitale, ma il suo è un viaggio a ritroso, al luogo dove un tempo c'era il villaggio di sua madre, sulla Drina, il fiume che separa la Bosnia dalla Serbia, un fiume che è anch'esso una madre, ma irrimediabilmente tinto di sangue.
Un altro villaggio cancellato dalla guerra e ora di nuovo abitato e ricostruito. Sućeska, sulle montagne sopra Srebrenica. Mohamed è lo šumar, il guardaboschi. E' tornato a pascolare il suo gregge, a occuparsi del bosco e del taglio del legname, tutti i giorni percorre gli stessi boschi attraverso i quali è fuggito nei giorni della caduta di Srebrenica.  L'11 Luglio 1995 i nazionalisti serbi comandati da Mladic entrano in città, migliaia di persone cercano rifugio a Potoćari presso la base dei caschi blu olandesi, i maschi sopra i dodici anni vengono separati dalle donne e sistematicamente trucidati nei giorni successivi. Qui Hajra ha visto per l'ultima volta suo marito, mentre i serbi lo strattonavano via. I suoi resti sono stati ritrovati in una fossa comune vicino a Zvornik. Del figlio Nino, che Hajra aveva salutato poche ore prima mentre prendeva la via dei boschi, non ha invece più saputo nulla. Ora la donna vive sola nella casa di Srebrenica, in cui ha voluto tornare.
A Tuzla è stato istituito l'ICMP (International Commission of Missing Persons), il personale lavora al recupero dei resti ancora ammassati nelle fosse comuni o dispersi nei boschi, alla ricomposizione dei corpi, al riconoscimento attraverso l'esame del DNA e infine alla restituzione alle famiglie. E' un processo difficile e doloroso, ma probabilmente necessario perché il tempo ricominci a scorrere.

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